La campagna di Russia

Reparti italiani al fronte orientale

Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, spesso abbreviato come CSIR, e l’8ª Armata Italiana in Russia, o ARMIR, furono le Grandi Unità del Regio Esercito impegnate, in successione, sul fronte orientale tra il luglio del 1941 e il febbraio del 1943. La partecipazione alla guerra contro l’Unione Sovietica rappresentò uno sforzo notevole per le forze armate italiane, già duramente impegnate nei Balcani e in Africa settentrionale, e le ingenti perdite colà subite rappresentarono un duro colpo per le già scarse capacità militari dell’Italia. Già dai primi di giugno 1941, in previsione dell’ormai certa campagna tedesca sul fronte orientale, Mussolini offrì a Hitler di partecipare con truppe italiane e contemporaneamente attivò il Generale Cavallero ( Capo di SM Generale). Alla fine fu decisa la costituzione del CSIR. L’offerta di Mussolini venne formalmente accettata, pur senza eccessivo entusiasmo, da Hitler con lettera consegnata all’Ambasciata Italiana di Berlino il 22 giugno 1941, giorno dell’inizio delle operazioni sul fronte orientale.
Circa le ragioni strategiche delle spedizioni, si suppone che il principale desiderio di Mussolini fosse quello di “riequilibrare” lo stato dell’alleanza con la Germania, in quel momento fortemente sbilanciato in favore dei tedeschi; in tale ottica, la partecipazione italiana alla campagna di Russia avrebbe pareggiato l’intervento dell’Afrika Korps tedesco in Libia. Vi erano anche considerazioni economiche, ovvero il timore di arrivare in ritardo alla spartizione delle risorse di un nemico considerato ormai sconfitto. Del tutto secondarie erano invece le considerazioni ideologiche (la partecipazione dell’Italia fascista alla lotta contro il comunismo), che pure ebbero ampio risalto nella propaganda degli opposti schieramenti.
Corpo di Spedizione Italiano in Russia
Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, inviato sul fronte russo nel luglio del 1941 era così composto:
Ordine di battaglia del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) – agosto 1941].
Comandante: generale di corpo d’armata Giovanni Messe
Capo di Stato Maggiore: colonnello Giulio Piacenza
Comandante dell’Artiglieria: generale di brigata Francesco Dupont
Comandante del Genio: colonnello Mario Tirelli
Unità di corpo d’armata
Quartier generale, con:
193ª Sezione Carabinieri Reali
194ª Sezione Carabinieri Reali
684ª Sezione Carabinieri Reali
32ª Sezione topocartografica
33ª Sezione topografi per l’artiglieria
33ª Sezione fotografica
Reparto fotocinematografico
8º Ufficio posta militare
Drappello automobilistico per Comando di C.d’A.
13º Nucleo movimento stradale
1ª Sezione Carburanti
Centuria motociclisti della Milizia della Strada
Unità direttamente dipendenti, comprendenti:
CIV Battaglione mitraglieri di corpo d’armata
II Battaglione cannoni controcarro (47/32)
1ª Compagnia bersaglieri motociclisti
Artiglieria:
30º Raggruppamento Artiglieria di Corpo d’Armata (col. Lorenzo Matiotti), su:
LX Gruppo artiglieria (105/32)
LXI Gruppo artiglieria (105/32)
LXII Gruppo artiglieria (105/32)
IV Gruppo artiglieria antiaerea (75/46)
XIX Gruppo artiglieria antiaerea (75/46)
95ª Batteria contraerea leggera (20/65)
97ª Batteria contraerea leggera (20/65)
Genio:
IV Battaglione genio artieri
I Battaglione genio pontieri
IX Battaglione genio pontieri
VIII Battaglione genio collegamenti
19ª Officina autocarreggiata per materiali di collegamento
80ª Sezione fotoelettricisti autocarreggiata
Corpo chimico:
I Battaglione chimico
16ª Compagnia chimica
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale:
65ª Legione di Camicie Nere d’assalto “Tagliamento” (Console Niccolò Nicchiarelli), su:
LXIII Battaglione di CCNN d’assalto “Udine”
LXXIX Battaglione di CCNN d’assalto “Reggio Emilia”
103ª Compagnia mitraglieri CCNN
183ª Compagnia mitraglieri CCNN
LXXX Battaglione armi d’accompagnamento “Sassari”
Sanità militare:
14ª Sezione di sanità
1ª Ambulanza radiologica
2ª Ambulanza radiologica
14ª Ambulanza odontoiatrica
2ª Sezione disinfestazione
25ª Sezione disinfestazione
2ª Sezione bonifica per gassati
104ª Sezione bonifica per gassati
60º Ospedale da campo
64º Ospedale da campo
163º Ospedale da campo
164º Ospedale da campo
235º Ospedale da campo
238º Ospedale da campo
239º Ospedale da campo
256º Ospedale da campo
257º Ospedale da campo
820º Ospedale da campo
827º Ospedale da campo
828º Ospedale da campo
829º Ospedale da campo
830º Ospedale da campo
831º Ospedale da campo
837º Ospedale da campo
838º Ospedale da campo
873º Ospedale da campo
Laboratorio chimico, batteriologico e tossicologico
Commissariato:
83ª Sezione sussistenza
19ª Sezione panificatori con forni rotabili
23ª Squadra panificatori con forni rotabili
Servizio Veterinario:
2ª Infermeria quadrupedi
6ª Infermeria quadrupedi
Trasporti:
82º Reparto salmerie
2º Autoraggruppamento d’Armata (Col.Ginesio Ninchi), su:
II Autogruppo misto, su:
26º Autoreparto pesante
32º Autoreparto pesante
91º Autoreparto pesante
116º Autoreparto leggero
228º Autoreparto misto
51º Autoreparto ambulanze
XXIX Autogruppo pesante, su:
33º Autoreparto pesante
34º Autoreparto pesante
96º Autoreparto pesante
97º Autoreparto pesante
15ª Officina di autogruppo
8º Reparto soccorso stradale
13º Nucleo soccorso stradale
Tribunale militare di guerra del Corpo di Spedizione Italiano in Russia
9ª Divisione fanteria autotrasportabile “Pasubio” (Generale di divisione Vittorio Giovanelli), su:
Comando e compagnia comando
Quartier generale, su:
25ª Sezione motorizzata Carabinieri Reali
26ª Sezione motorizzata Carabinieri Reali
9º Drappello automobilistico per Comando Divisione di Fanteria
91ª Sezione carburanti
9º Nucleo soccorso stradale
8º Nucleo movimento stradale
I Gruppo fotocinematografico
83º Ufficio posta militare
79º ed 80º Reggimento fanteria “Roma”, cad. su:
Comando e Compagnia comando
Compagnia Mortai (81 mm)
Batteria cannoni d’accompagnamento (65/17)
I, II e III Battaglione fanteria
8º Reggimento di artiglieria “Pasubio”, su:
Comando e batteria comando,
I Gruppo motorizzato (100/17)
II e III Gruppo Motorizzato (75/27)
85ª e 309ª Batteria contraerei leggera (20/65)
V Battaglione mortai (81mm)
IX Battaglione mortai (81mm)
9ª Compagnia cannoni controcarro (47/32)
141ª Compagnia cannoni controcarro (47/32)
30ª Compagnia genio artieri
9ª Compagnia genio telegrafisti e radioteòegrafisti
95ª Sezione fotoelettricisti
5ª Sezione di sanità
825º Ospedale da campo
826º Ospedale da campo
836º Ospedale da campo
874º Ospedale da campo
25º Nucleo chirurgico
11ª Sezione sussistenza
26ª Squadra panettieri con forni rotabili
52ª Divisione fanteria autotrasportabile “Torino” ( Generale di divisione Luigi Manzi), su:
Comando e compagnia comando
Quartier generale, su:
56ª Sezione motorizzata Carabinieri Reali
66ª Sezione motorizzata Carabinieri Reali
52º Drappello automobilistico per Comando Divisione di Fanteria
52ª Sezione carburanti
52º Nucleo soccorso stradale
5º Nucleo movimento stradale
II Gruppo fotocinematografico
152º Ufficio posta militare
81º ed 82º Reggimento fanteria “Torino”, cad. su:
Comando e Compagnia comando
Compagnia Mortai (81mm)
Batteria cannoni d’accompagnamento (65/17)
I, II e III Battaglione fanteria
52º Reggimento di artiglieria “Torino”, su:
Comando e batteria comando,
I Gruppo motorizzato (100/17)
II e III Gruppo Motorizzato (75/27)
352ª e 361ª Batteria contraerei leggera (20/65)
XXVI Battaglione mortai (81mm)
LII Battaglione mortai (81mm)
52ª Compagnia cannoni controcarro (47/32)
171ª Compagnia cannoni controcarro (47/32)
57ª Compagnia genio artieri
52ª Compagnia genio telegrafisti e radioteòegrafisti
69ª Sezione fotoelettricisti
52ª Sezione di sanità
89º Ospedale da campo
90º Ospedale da campo
117º Ospedale da campo
578º Ospedale da campo
52º Nucleo chirurgico
52ª Sezione sussistenza
65ª Squadra panettieri con forni rotabili
3ª Divisione Celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta” (Generale di brigata Mario Marazzani)
Quartier generale, su:
Comando e compagnia comando
355ª Sezione celere Carabinieri Reali
356ª Sezione celere Carabinieri Reali
3º Drappello automobilistico per Comando Divisione Celere
3º Nucleo movimento stradale
III Gruppo fotocinematografico
40º Ufficio posta militare
3º Reggimento bersaglieri, su:
Comando e Compagnia comando
Compagnia Mortai (81mm)
2ª Compagnia bersaglieri motociclisti
3ª Compagnia bersaglieri motociclisti
XVIII, XX e XXV battaglione bersaglieri autotrasportati
129ª Autoreparto leggero
Reggimenti “Savoia Cavalleria” e “Lancieri di Novara”, cad. su:
I e II Gruppo squadroni
5º Squadrone mitraglieri
3º Reggimento di artiglieria celere, su:
Comando e batteria comando,
I, II e III Gruppo artiglieria a cavallo (75/27)
93ª e 102ª Batteria contraerei leggera (20/65)
III Gruppo squadroni carri veloci “San Giorgio” (L3/35)
XXVI Battaglione mortai (81mm)
LII Battaglione mortai (81mm)
105ª Compagnia genio artieri
103ª Compagnia genio telegrafisti e radiotelegrafisti
73ª Sezione di sanità
46º Ospedale da campo
47º Ospedale da campo
148º Ospedale da campo
159º Ospedale da campo
20º Nucleo chirurgico
93ª Sezione sussistenza
59ª Squadra panettieri con forni rotabili
213º Autoreparto misto
Comando aviazione del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (Colonnello Carlo Drago)
LXI Gruppo da osservazione per l’esercito (Ca.311), su:
34ª Squadriglia da osservazione
119ª Squadriglia da osservazione
128ª Squadriglia da osservazione
XXII Gruppo caccia (MC.200), su:
359ª Squadriglia da caccia
362ª Squadriglia da caccia
369ª Squadriglia da caccia
371ª Squadriglia da caccia
sei sezioni di cannoncini contrerei (20/65)
autoparco
Nel complesso 2 900 ufficiali, 58 800 uomini, 220 pezzi d’artiglieria, 89 aerei (51 da caccia, 32 da ricognizione, 6 da trasporto), 5 500 automezzi, 4 600 quadrupedi, 61 carri L3/35[5].
A partire dal 10 luglio e fino al 5 agosto le truppe vennero trasportate da Roma (divisione Torino), Cremona (comando CSIR) e Verona (divisioni Pasubio e Celere) tramite 216 treni fino alle città, allora ungheresi ora rumene,di Marmaros Sziget, Felsoviso e Borsa; da lì raggiunsero, dopo superati i Carpazi Orientali, dapprima la zona di radunata in Romania e quindi il teatro delle operazioni con una marcia di centinaia di chilometri attraverso le pessime strade di Romania, Moldavia, Bessarabia e Ucraina. Questa lunga marcia, che molti reparti, per scarsità di automezzi, dovettero compiere a piedi o in sella ai cavalli, causò un certo ritardo rispetto al programma.
Il comandante del CSIR, il Generale di Corpo d’Armata Francesco Zingales venne colto da malore durante il trasferimento e ricoverato a Vienna il 13 luglio 1941 e sostituito nell’incarico con il Gen. di CA Giovanni Messe il 17 dello stesso mese.
Il Corpo d’Armata, fin dal suo arrivo in zona di operazioni, fu posto alle dipendenze dell’11ª Armata tedesca del generale Eugen Ritter von Schobert, schierata in Ucraina meridionale nel settore operativo del Gruppo di Armate Sud guidato dal feldmaresciallo Gerd von Rundstedt.
Operazioni di guerra del CSIR
Agosto 1941: primi scontri della divisione Pasubio presso il fiume Bug
Il CSIR entrò in azione per la prima volta nell’agosto del 1941. Dopo aver superato il Dniestr in più punti, stabilendo diverse teste di ponte, i tedeschi stavano tentando di chiudere in una morsa le forze sovietiche attestate tra il Dniestr e il Bug. In alcuni punti però i russi stavano opponendo una forte resistenza e servivano nuove forze per alimentare l’offensiva. A fine luglio, con il CSIR ancora in fase di organizzazione, il generale Eberhard von Mackensen, comandante del III° Corpo germanico, richiese quindi al generale Messe almeno una divisione da utilizzare subito in battaglia e due gruppi di artiglieria per appoggiare il suo attacco alle forze sovietiche. Il 30 luglio venne così inviata urgentemente al fronte la divisione Pasubio, rinforzata da una compagnia motociclisti e dal 30º Raggruppamento artiglieria.
La pioggia abbondante, che aveva trasformato le già disastrose piste russe in enormi pantani, ritardò la marcia della Pasubio, che raggiunse le rive del Bug a nord di Voznesens’k solo il 10 agosto. Nei due giorni successivi la Pasubio, marciando lungo la riva destra del Bug in direzione sud-est per tagliare ai russi la ritirata verso la strategica città di Nikolayev, finì per entrare in contatto con il nemico, partecipando così alla cosiddetta “Battaglia dei due fiumi”, ovvero la grande manovra effettuata dall’esercito tedesco per intrappolare le forze sovietiche tra i fiumi Dniestr a ovest e Bug a est. Nei due giorni di scontri presso i villaggi di Pokrovskoje e Yasna Poliana, la divisione Pasubio ebbe la meglio su un reggimento sovietico, che si ritirò lasciando sul campo centinaia di caduti e prigionieri.
Il 14 agosto il CSIR venne assegnato al Gruppo corazzato von Kleist, con il compito di proteggere il fianco sinistro dell’avanzata dei panzer tedeschi verso il fiume Dniepr. Dal 15 al 20 agosto, rallentate dal maltempo e dalle incursioni aeree dei sovietici, vennero attuate quindi le operazioni di trasferimento della divisione Pasubio sulla riva destra del Dniepr. Per il 21 agosto i reggimenti della Pasubio erano attestati sul Dniepr, nella zona di Verkhnodniprovsk, a circa 50 km a nord-ovest della città di Dnipropetrovs’k. I gruppi d’aviazione si stabilirono invece a Krivoy Rog, a distanza utile per proteggere i ponti e le unità sul Dniepr. Nei giorni seguenti raggiunsero il Dniepr anche i reparti motorizzati della Celere, l’artiglieria della Torino e le altre unità motorizzate del CSIR. Il 28 agosto Benito Mussolini, dopo avere visitato con Hitler il quartier generale del Gruppo di Armate Sud, passò in rassegna i reparti del CSIR a Tekusha. Soltanto il 5 settembre, dopo avere percorso quasi mille chilometri a piedi, anche i reparti non motorizzati della Torino (divisione autotrasportabile più che altro soltanto sulla carta) riuscirono a essere finalmente in linea sul Dniepr con il resto del CSIR.
Settembre 1941: traversata del Dniepr e battaglia di Petrikowka Il compito del CSIR agli inizi di settembre era quello di difendere circa 150 chilometri di fronte a nord e a sud della città di Dnepropetrovsk, tra la 17ᵃ Armata tedesca di von Stülpnagel a nord ed il III° Corpo di von Mackensen a sud. Il 21 settembre l’intero CSIR passò all’offensiva. L’intento dei tedeschi era quello di sfondare la linea del Dniepr e quindi accerchiare ed annientare le forze sovietiche (i resti di cinque divisioni) attestate tra il Dniepr a ovest e i fiumi Orel a nord e Samara a sud. La Pasubio oltrepassò il Dniepr a Derivka, circa 80 km a nord-ovest di Dnepropetrovsk, per proteggere il fianco destro della 17ᵃ armata, che avanzava verso Poltava. Più a sud la Torino scattò verso nord-ovest dalla testa di ponte di Dnepropetrovsk e attraversò il Dniepr in vari punti sotto il fuoco dell’artiglieria e dell’aviazione nemiche (i soldati del genio lavorarono instancabilmente giorno e notte per riparare o costruire ponti di fortuna).
All’alba del 23 settembre la Pasubio, coadiuvata dai carri della Celere e da panzer tedeschi, riuscì a stabilire una testa di ponte sul fiume Orel presso Tsarychanka. Dal 24 al 26 settembre le forze italo-tedesche riuscirono a resistere ai furiosi contrattacchi sovietici contro le teste di ponte sull’Orel. Il 28 settembre l’offensiva del CSIR riprese ed il 30 le truppe della Pasubio da nord-est, i bersaglieri della Celere da nord-ovest e i reggimenti della Torino da sud-est si incontrarono finalmente nel villaggio di Petrikowka, obiettivo della manovra a tenaglia, ponendo termine alla battaglia. In mano italiana restarono circa 10.000 prigionieri, mentre vennero distrutti 450 carri armati nemici. Nel suo piccolo la vittoria italiana a Petrikowka (costata quasi 90 morti e 200 feriti) contribuì all’occupazione tedesca di Poltava e di Kiev, ove i tedeschi catturarono 655.000 prigionieri sovietici.
Autunno 1941: avanzata nel bacino del Donetz
Agli inizi di ottobre il CSIR venne schierato come ala sinistra della 1ª Armata Corazzata di von Kleist che stava avanzando nella grande zona industriale del bacino del fiume Donetz. Le truppe italiane erano attestate su un fronte di cento chilometri lungo la riva occidentale del fiume Vovcha, a circa 60 km a est del Dniepr. Dal 9 all’11 ottobre il CSIR appoggiò con la Legione Tagliamento l’attacco di una divisione tedesca contro la città di Pavlohrad, sulla riva orientale del fiume Vovcha, che venne infine conquistata, aprendo così la strada per la corsa verso il Donetz. A guidare l’avanzata verso la città di Stalino (l’attuale Donec’k), a circa 100 chilometri a sud-est di Pavlohrad, fu la divisione Celere (la Pasubio era ancora bloccata a Pavlohrad in attesa della costruzione di un nuovo ponte sul fiume Vovcha) con i suoi reggimenti di cavalleria e bersaglieri. Il 20 ottobre il 3º Reggimento bersaglieri, nonostante la strenua resistenza dei sovietici, riuscì ad occupare l’importante stazione ferroviaria a nord-ovest, mentre i tedeschi conquistarono il resto della città.
Il Comando tedesco, intenzionato a sfruttare al massimo l’avanzata verso il Donetz non dando tregua al nemico in ritirata, ordinò di riprendere immediatamente l’offensiva, occupando anche le città minerarie di Rykovo (attuale Yenakiieve) e Gorlovka (Horlivka), a una trentina di chilometri a nord-est di Stalino. Il 22 ottobre, quindi, l’avanzata della Celere riprese. Dopo aspri combattimenti contro le retroguardie sovietiche in ritirata, il 1º novembre il 3° bersaglieri riusciva ad occupare la città di Rykovo, scacciandone tre divisioni nemiche (la 74ª, la 262ª e la 296ª), mentre il giorno successivo furono i reggimenti della Pasubio, dopo una lotta casa per casa, a conquistare Gorlovka. Nell’abitato di Nikitovka, a qualche chilometro a nord di Gorlovka, invece, l’80º Reggimento della Pasubio si trovò circondato dal 6 al 12 novembre da preponderanti forze sovietiche (la 74ª divisione fucilieri) e riuscì a sganciarsi e rientrare a Gorlovka solo grazie all’aiuto di altri reparti della Pasubio e della Celere e dell’aviazione, che ora operava dal vicino aeroporto di Stalino: la Battaglia di Nikitovka costò al CSIR centinaia di vittime, tra morti e feriti. La divisione Torino fu invece impegnata il 19 novembre in un combattimento presso il villaggio di Ubeschischtsche.
Con l’approssimarsi del temibile inverno russo era giunta infine l’ora di consolidare il fronte raggiunto, calcolando anche che il CSIR era ormai stremato, essendo avanzato in territorio nemico in poco più di un mese per più di 200 chilometri dalla testa di ponte di Dnepropetrovsk, nonostante le avverse condizioni meteorologiche dell’autunno russo (freddo, pioggia costante, piste nella steppa diventate fango che bloccava continuamente il movimento degli automezzi). Oltre alle difficoltà nelle operazioni offensive causate non solo dalla forte resistenza nemica, ma anche dalle grandi distanze, dalle pessime condizioni meteorologiche, dalla endemica mancanza di automezzi da un lato e di strade percorribili dall’altro (si dovettero perfino adattare le linee ferroviarie per renderle percorribili dagli automezzi), giova ricordare anche le grandi difficoltà logistiche causate dal ritardo dei treni che dovevano rifornire le truppe in avanzata di enormi quantità di derrate e di materiali. Di conseguenza, per le unità più esposte, si dovette spesso affidare agli aerei da trasporto il rifornimento di viveri, di munizioni, di indumenti di lana per l’inverno imminente e di materiali di più urgente necessità, oltre che lo sgombero dei feriti).
Inverno 1941-42: battaglie difensive
Ormai bloccato dall’arrivo dell’inverno russo, con temperature che scendevano fino a venti, se non trenta gradi sotto zero, il CSIR utilizzò il resto del mese di novembre e le prime settimane di dicembre per attestarsi su una linea più corta e meglio difendibile. Le operazioni di rafforzamento del fronte durarono una decina di giorni, dal 5 al 14 dicembre, e furono chiamate la Battaglia di Chazepetovka, dal nome di un villaggio ad alcuni chilometri da Rykovo. Gli italiani (in particolare la divisione Torino) affrontarono il 95º Reggimento della Guardia, una formazione speciale della NKVD, oltre a squadroni di cavalleria cosacca e battaglioni di fanti siberiani.
Al termine della dura battaglia (costata 135 morti e più di 500 feriti) il CSIR si trovava ora schierato su una linea difensiva formata da capisaldi tra la città di Rykovo a ovest ed il fiume Mius a est, sul fianco sinistro, invece, a partire dal villaggio di Debaltseve, era attestata la 17ª Armata tedesca. Proprio su questa linea i sovietici, meglio abituati e più attrezzati a resistere ai rigori dell’inverno russo rispetto agli italo-tedeschi, il giorno di Natale scatenarono una pesante offensiva, poi denominata Battaglia di Natale, che investì in pieno il 3º Reggimento bersaglieri e la Legione Tagliamento. Un battaglione di bersaglieri fu accerchiato per dieci ore prima di riuscire a ritirarsi. Il CSIR comunque riuscì a riorganizzarsi e tra il 26 ed il 28 dicembre le divisioni Pasubio e Celere insieme a un reggimento e una formazione di panzer tedeschi fecero scattare la controffensiva, che consentì di riprendere le posizioni perse nel corso dell’attacco sovietico di Natale (la battaglia costò 168 morti, 715 feriti e quasi 210 dispersi). A fine gennaio il CSIR dovette invece soccorrere con alcuni reparti le truppe tedesche della 17ª Armata tedesca in difficoltà nell’area di Izium (cento chilometri a nord di Gorlovka), dove i sovietici avevano sfondato il fronte penetrando nelle retrovie per un centinaio di chilometri.
Da gennaio a marzo del 1942 il CSIR, scarsamente impegnato in azione fu potenziato con nuove unità giunte dall’Italia: Battaglione alpini sciatori Monte Cervino, 6º Reggimento bersaglieri, 120º Reggimento artiglieria. Il 4 giugno 1942 il CSIR passò alle dipendenze della 17ª Armata tedesca; dal 9 luglio, infine, il CSIR entrò a far parte dell’ARMIR con la denominazione di XXXV Corpo d’armata. Fino a quel momento il CSIR, su un totale di circa 62 000 uomini, aveva avuto oltre 1 600 morti, 5 300 feriti, più di 400 dispersi e oltre 3 600 colpiti da congelamento.
Armata Italiana in Russia

Soldati dell’ARMIR in URSS nel 1942

« La popolazione russa ben presto s’era istintivamente accostata agli alpini; la gente d’Ucraina aveva trovato via d’intesa con gli uomini dalla penna nera e si mostrava larga di simpatia e di attenzioni verso quei ragazzi gioviali; offriva spontanea ospitalità nelle isbe e si intratteneva volentieri a conversare fino a tardi »

L’Armata Italiana in Russia (la denominazione ufficiale del Corpo di spedizione inviato sul Fronte Orientale) venne costituita nel luglio 1942 su specifica richiesta dei vertici militari tedeschi che nella primavera del 1942 hanno bisogno di divisioni per continuare l’avanzata in territorio russo e designata come 8ª Armata. Da un punto di vista prettamente teorico non vi era identità tra l’8ª Armata e l’ARMIR poiché sotto la prima furono dipendenti anche formazioni provenienti da altre nazioni, mentre la seconda avrà la capacità di distaccare proprie divisioni sotto altri comandi. L’armata era strutturata su un nucleo di unità direttamente dipendenti dal comando di Armata, sul II Corpo d’Armata, il XXXV Corpo d’Armata (ex CSIR) ed il Corpo d’Armata Alpino, come segue:
Raggruppamento a cavallo Barbò
3º Reggimento cavalleria Savoia Cavalleria
5º Reggimento cavalleria Lancieri di Novara
3º Reggimento artiglieria a cavallo
9º Raggruppamento artiglieria d’Armata
201º Reggimento artiglieria motorizzato
Battaglione Alpini Sciatori “Monte Cervino”
Legione croata
156ª Divisione fanteria Vicenza
277º Reggimento fanteria
278º Reggimento fanteria
Corpo d’Armata alpino (generale di corpo d’armata Gabriele Nasci)
2ª Divisione alpina “Tridentina” (generale Luigi Reverberi)
5º Reggimento alpini (colonnello Giuseppe Adami)
Battaglione Morbegno
Battaglione Tirano
Battaglione Edolo
6º Reggimento alpini (colonnello Paolo Signorini)
Battaglione Vestone
Battaglione Val Chiese
Battaglione Verona
2º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Federico Moro)
Gruppo Bergamo
Gruppo Vicenza
Gruppo Val Camonica
3ª Divisione alpina “Julia” (generale Umberto Ricagno)
8º Reggimento alpini (colonnello Armando Cimolino)
Battaglione Tolmezzo
Battaglione Gemona
Battaglione Cividale
9º Reggimento alpini (colonnello Fausto Lavizzari)
Battaglione Vicenza
Battaglione L’Aquila
Battaglione Val Cismon
3º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Pietro Gay)
Gruppo Conegliano
Gruppo Udine
Gruppo Val Piave
4ª Divisione alpina “Cuneense” (generale Emilio Battisti)
1º Reggimento alpini (colonnello Luigi Manfredi)
Battaglione Ceva
Battaglione Pieve di Teco
Battaglione Mondovì
2º Reggimento alpini (colonnello Luigi Scrimin)
Battaglione Borgo San Dalmazzo
Battaglione Dronero
Battaglione Saluzzo
4º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Enrico Orlandi)
Gruppo Pinerolo
Gruppo Mondovì
Gruppo Val Po
11º Raggruppamento artiglieria di Corpo d’Armata (colonnello Giovanni Giua)
II Corpo d’Armata (generale di corpo d’armata Giovanni Zanghieri)
2ª Divisione fanteria “Sforzesca” (generale Carlo Pellegrini)
53º Reggimento fanteria (colonnello Massimo Contini)
54º Reggimento fanteria (colonnello Mario Viale)
17º Reggimento artiglieria (colonnello Achille Tirindelli)
3ª Divisione fanteria “Ravenna”
37º Reggimento fanteria
38º Reggimento fanteria
121º Reggimento artiglieria
5ª Divisione fanteria “Cosseria”
89º Reggimento fanteria
90º Reggimento fanteria
108º Reggimento artiglieria
2º Raggruppamento artiglieria di Corpo d’Armata
Raggruppamento Camicie Nere 23 marzo
Legione Valle Scrivia
Legione Leonessa
XXXV Corpo d’Armata (l’ex CSIR) (generale di corpo d’armata Giovanni Messe)
9ª Divisione fanteria “Pasubio”
79º Reggimento fanteria
80º Reggimento fanteria
8º Reggimento artiglieria
52ª Divisione fanteria “Torino”
81º Reggimento fanteria
82º Reggimento fanteria
52º Reggimento artiglieria
3ª Divisione Celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta”
3º Reggimento bersaglieri
6º Reggimento bersaglieri
120º Reggimento artiglieria motorizzato
30º Raggruppamento artiglieria di Corpo d’Armata
Raggruppamento Camicie Nere 3 gennaio
Legione Tagliamento
Legione Montebello
All’autunno del 1942 l’8ª Armata guidata dal generale Italo Gariboldi metteva quindi in campo:
230 000 uomini (di cui circa 150 000 schierati in prima linea)
16 700 automezzi
1 150 trattori d’artiglieria
4 500 motomezzi
25 000 quadrupedi
940 cannoni di cui:
72 cannoni 75/27 reduci dell’impresa in Libia del 1911
27 75/27 ippotrainati
72 75/13 di fabbricazione austro-ungarica
36 100/17 (preda bellica del 1918)
70 105/28 del 1915
72 105/32
48 149/13
72 75/18
24 105/11
24 149/28
36 149/40
12 210/22
266 47/32 controcarro
54 75/39 controcarro
36 75/32 controcarro
52 75/46 contraereo
2 850 fucili mitragliatori
1 800 mitagliatrici
423 mortai da 81
864 mortai da 45
31 carri leggeri L6/40
19 semoventi L40, 64 aerei (di cui 41 caccia Macchi M.C.200 o Macchi M.C.202 e 23 aerei da ricognizione). Aggregate all’8ª Armata vi erano anche alcune unità tedesche, come la 294ª divisione di fanteria, poi sostituita dalla 298ª divisione fanteria, ed elementi della 62ª divisione fanteria e della 22ª divisione corazzata.
Operazioni di guerra dell’ARMIR
Luglio e Agosto 1942: la partenza verso la Russia
La prima delle divisioni alpine a lasciare l’Italia è la Tridentina il 14 luglio 1942, seguita dalla Cuneense il 27 luglio. La Julia invece partirà solo verso ferragosto a causa della necessità di ristabilire gli effettivi dopo le perdite subite in Grecia. Prima di partire ad alcuni ufficiali viene offerta la possibilità di acquistare dall’esercito il fucile mitragliatore Beretta nonché le relative pallottole. Molti soldati saranno disposti a spendere mille lire per il fucile e dieci lire a pallottola impauriti dalle notizie sul fucile parabellum in dotazione ai reparti russi[19]. Dopo un lunghissimo viaggio su convogli di carri merce attraverso Monaco, Lipsia, Varsavia, Minsk, Gomel, Charkiv e Isijum in cui gli alpini bevvero e cantarono nenie di lutto le penne nere dovettero affrontare dai 500 ai 1 000 km di marcia a piedi per raggiungere la linea del fronte, con tappe giornaliere dai 32 ai 40 km.
Estate 1942: avanzata e posizionamento sul Don
Il battesimo del fuoco toccò alla Tridentina, sul finire dell’agosto 1942. L’ARMIR venne proprio in questo periodo posta alle dipendenze del Gruppo di Armate B tedesco e venne destinata alla protezione del fianco sinistro delle truppe impegnate nella battaglia di Stalingrado. Tra l’inizio e la metà di agosto l’ARMIR si schierò, infine, lungo il bacino del Don, tra la 2ª Armata ungherese a nord e la 6ª Armata tedesca, sostituita a fine settembre dalla 3ª Armata romena, a sud. La prima avvisaglia che quello degli italiani non sarebbe stato un settore facile avvenne tra il 30 luglio e il 13 agosto a Serafimovich (a circa 150 chilometri a nord-ovest di Stalingrado): qui, a un primo tentativo dei russi di oltrepassare il Don, si opposero tenacemente i bersaglieri della Celere (i sovietici persero la testa di ponte, ma il prezzo in vite umane per gli italiani sarà alto).
Prima battaglia difensiva del Don e carica di Isbuscenskij
Tra il 20 agosto 1942 e il 1º settembre le truppe sovietiche scatenarono un’offensiva di vaste proporzioni contro i reparti ungheresi, tedeschi e italiani (che subirono il peso maggiore dell’attacco) schierati nell’ansa settentrionale del Don. Nel settore dell’ARMIR, i russi erano riusciti a stabilire due teste di ponte nei villaggi di Bobrovskiy (presso Serafimovich) e Kremenskaya (a circa 40 chilometri a est di Serafimovich) e da qui colpirono con tre divisioni (97ª, 203ª e 14ª della Guardia) la divisione Sforzesca, composta da elementi al battesimo del fuoco e sfiancati dalle lunghe marce per raggiungere il fronte (anche 50 chilometri al giorno). L’ordine di resistere a ogni costo su un fronte di 25 chilometri fu eseguito dalla Sforzesca con abnegazione, ma dopo due giorni di aspri combattimenti la divisione venne travolta. Gli italiani riuscirono a chiudere la pericolosa falla intervenendo con reparti della Celere, tra cui il Savoia Cavalleria e un battaglione di Camicie Nere, il battaglione alpino Monte Cervino e in seguito anche la divisione alpina Tridentina.
Il generale Messe, per allentare la pressione, ordinò anche di caricare con la cavalleria: i Lancieri di Novara attaccarono il 20 agosto a Yagodnyy, mentre il 24 agosto il Savoia Cavalleria con i suoi seicento uomini caricò duemila russi nell’episodio di Isbuscenskij, passato agli annali come l’ultima carica della cavalleria italiana nella storia. Alla fine il fronte venne mantenuto e le divisioni sovietiche, dopo aver perso metà dei loro effettivi, dovettero ritirarsi rinunciando all’obiettivo di raggiungere la rotabile Bolshoy-Gorbatovskiy alle spalle della prima linea italiana, venti chilometri a sud del fiume Don, ma le teste di ponte erano state consolidate e a Verchnij Mamon, circa 200 chilometri a ovest del settore della Sforzesca, i sovietici erano riusciti a stabilire una robusta testa di ponte sulla riva destra del Don, utile per le future offensive, strappando il terreno alle divisioni Ravenna e Cosseria e al 318º Reggimento tedesco.
Schieramento dell’ARMIR sul Don
Settembre e ottobre trascorsero tranquillamente, con le truppe italiane disposte a difesa di un tratto di fronte lungo circa 270 km  (da Belegore a nord-ovest fino a Veshenskaya a sud-est): l’ampiezza era tale che tutte le divisioni erano schierate in prima linea, con l’eccezione della Vicenza (impegnata a contrastare i partigiani nelle retrovie) e del Raggruppamento Barbò (giudicato inadatto al ruolo di difesa statica). A partire da nord-ovest, il fianco sinistro da Belegore a Novo Kalitva era costituito dal Corpo d’Armata alpino (divisioni Tridentina, Julia e Cuneense con alle spalle la Vicenza), al centro da Novo Kalitva a Sukhoy Donets c’erano il II Corpo d’Armata (divisioni Cosseria e Ravenna) ed il XXXV Corpo d’Armata (ex CSIR, ora formato dalla divisione Pasubio e dalla 298ª divisione tedesca), all’ala destra da Sukhoy Donets fino a Veschenskaya si trovava il XXIX Corpo d’Armata tedesco (divisioni Torino, Celere, Legione Croata, 62ª divisione tedesca e divisione Sforzesca, ancora in fase di riorganizzazione dopo la disastrosa battaglia di fine agosto).
Alle estremità dello schieramento italiano si trovavano, invece, altre due deboli armate alleate: a nord la 2ª Armata ungherese, sul fianco destro la 3ª Armata rumena che, entrata in linea solo nei primi giorni di ottobre, prese le difese del pericoloso settore di Serafimovič sostituendo i reparti italiani. Proprio da questa testa di ponte avrebbe preso il via il 19 novembre 1942 la grande operazione Urano dell’Armata Rossa che in pochi giorni avrebbe sbaragliato le pur combattive divisioni rumene, male equipaggiate e scarsamente dotate di armi anticarro, dando inizio all’interminabile reazione a catena che avrebbe rovinosamente coinvolto in dicembre anche l’armata italiana.
Dicembre 1942: primo sfondamento della linea italiana
Già il 19 novembre, l’Armata Rossa aveva lanciato una massiccia offensiva volta ad accerchiare le truppe tedesche della 6ª Armata di Paulus bloccate a Stalingrado. L’azione aveva portato all’annientamento della 3ª Armata romena, schierata a sud-est dell’ARMIR. All’alba del 16 dicembre l’offensiva sovietica (operazione Piccolo Saturno, prima fase della “Seconda battaglia difensiva del Don”) si scatenava anche contro le linee tenute dal II Corpo dell’ARMIR, che custodiva il settore centrale del fronte italiano; l’attacco sovietico non colse di sorpresa i reparti italiani, visto che già dall’11 dicembre erano in corso scaramucce e piccoli scontri lungo il fronte. Il primo attacco russo, proveniente dal saliente di Verchnij Mamon, fu respinto, ma il 17 dicembre i sovietici impiegarono le loro truppe corazzate e l’aviazione, travolgendo le linee della Ravenna e obbligandola alla ritirata. Nello stesso tempo, a sud-est, vennero distrutti anche i resti della 3ª Armata rumena. L’obiettivo della grande manovra era congiungere le due braccia della tenaglia, costituite da gruppi corazzati, alle spalle dello schieramento italo-tedesco-rumeno tra Nova Kalitva e Veshenskaya. Gariboldi tentò di tappare le varie falle come meglio poté, spostando reparti da una posizione all’altra, ma il ripiegamento senza preavviso della 298ª divisione germanica, schierata tra la Ravenna a sinistra e la Pasubio a destra, finì per mettere ancora più in crisi il già traballante fronte. Il 19 dicembre le avanguardie corazzate sovietiche avevano già raggiunto Kantemirovka, a 40 chilometri all’interno della linea italiana del Don, trenta chilometri più a sud raggiunsero Chertkovo, e il 21 dicembre le due colonne russe provenienti da nord e da est si incontrarono a Degtevo, a circa settanta chilometri a sud di Sukhoy Donets, chiudendo di fatto il XXXV Corpo d’armata italiano e il XXIX Corpo d’Armata tedesco in un’immensa sacca.
Quasi prive di mezzi di trasporto e di carburante (anche i carri leggeri L6/40 andarono quasi tutti persi sotto la forza dell’attacco sovietico), costrette a vagare a piedi in cerca di una via di scampo dall’accerchiamento, le divisioni di fanteria dell’ARMIR, composte da decine di migliaia di uomini ormai difficilmente controllabili, finirono in gran parte annientate, falcidiate dalla fame e dal freddo micidiale (30 gradi sotto zero) e sottoposte non solo agli attacchi delle colonne corazzate nemiche, ma anche dei reparti partigiani che agivano alle loro spalle.
Elementi delle divisioni Torino e Pasubio, insieme ai tedeschi della 298ª, riuscirono a resistere a Chertkovo, circondati dai russi. Nella conca di Arbuzovka, invece, si consumò un dramma: 20-25.000 perdite tra morti, dispersi e prigionieri, solo pochi gruppi riuscirono a sfuggire all’accerchiamento. L’offensiva sovietica non coinvolse il Corpo d’Armata alpino, che continuò a tenere le sue posizioni sul Don. La Divisione Julia, sostituita sulla linea del fronte dalla Divisione Vicenza, fu schierata, insieme al XXIV Corpo d’Armata tedesco, sul fianco destro, lasciato scoperto dalla disfatta del II Corpo. La Julia si attestò sul fiume Kalitva, dove si dissanguò in continui combattimenti per mantenere il fronte. Intanto sul Don, ormai coperto di ghiaccio resistente e quindi transitabile anche per i carri armati, i sovietici apprestavano la seconda fase dello sfondamento.
Gennaio 1943: secondo sfondamento e ritirata del Corpo d’Armata alpino
Il 12 gennaio 1943 i sovietici diedero il via all’offensiva Ostrogorzk-Rossoš (seconda fase della Seconda battaglia difensiva del Don), travolgendo la 2ª Armata ungherese, schierata a nord del Corpo d’Armata alpino. Il giorno seguente investirono i resti delle fanterie italiane schierate insieme al XXIV Corpo d’Armata tedesco sull’esile fronte di circa 40 chilometri tra la confluenza Kalitva-Don a nord e Kantemirovka a sud, puntando a ovest su Rovenki, dove erano trincerati i resti della Cosseria, e a nord-ovest sulla città di Rossoš, dove c’era il comando del generale Nasci. Ormai il Corpo d’Armata alpino era chiuso in una sacca che includeva le divisioni Julia, Cuneense, Tridentina e Vicenza.
L’ordine di ripiegare dal Don venne dato (con molto ritardo, per volontà di Italo Gariboldi) solo il 17 gennaio. A Podgornoje, venti chilometri a nord di Rossoš, dove il 18 gennaio confluirono sbandati italiani, ungheresi e tedeschi, il caos divenne indescrivibile.In testa alle colonne in ritirata si misero i reparti della Tridentina in grado di affrontare la battaglia. Anche i resti della Vicenza riuscirono in qualche modo ad aprirsi la strada verso ovest. Più a sud, invece, Julia e Cuneense dovettero sacrificarsi contro le forze corazzate sovietiche per evitare che il fianco sinistro della ritirata crollasse, mettendo in crisi l’intera operazione di sganciamento. Il 21 gennaio Gariboldi avvertì il generale Nasci che Valuyki era caduta in mano russa e ordinò di puntare venti chilometri più a nord su Nikolajevka, che si trovava a circa 50 chilometri a ovest delle avanguardie italiane. Tale segnalazione però non arrivò mai ai reparti superstiti della Julia e della Cuneense, che continuavano a combattere battaglie di retroguardia sul fianco sinistro della Tridentina.Il 22 gennaio vennero annientati gli ultimi superstiti della Julia, tra il 25 e il 26 fu la volta dei resti della Cuneense e della Vicenza, catturati dai russi presso Valuyki. La Tridentina, invece, dovette affrontare gli ultimi due ostacoli per uscire dalla sacca: i villaggi di Arnautovo e Nikolajevka (Nikolajevka ora si chiama Livenka). A mezzogiorno del 26 gennaio, finalmente, dopo un’ultima sanguinosa battaglia, dopo aver lasciato sul campo morti e feriti in grande quantità, la Tridentina riuscì a rompere l’accerchiamento sovietico.
In dieci giorni, le tre divisioni alpine, la Divisione Vicenza, alcune unità tedesche del XXIV Corpo e una gran massa di sbandati italiani, rumeni ed ungheresi, avevano coperto più di 120 km in condizioni climatiche proibitive (neve alta e temperature tra i −35° e i −42°), con pochi mezzi di trasporto e vestiario insufficiente, sottoposte ad incessanti attacchi di truppe regolari e di partigiani sovietici. Il 30 gennaio i sopravvissuti del Corpo d’Armata alpino (insieme a 16 000 tra tedeschi ed ungheresi) si raccolsero a Schebekino, dove poterono finalmente riposare dopo 350 chilometri di marce estenuanti e dopo tredici battaglie. Gravissime in particolare le perdite delle divisioni alpine: dei 57 000 alpini partiti per la Russia, ne ritornano solo 11 000.
Con la sostanziale distruzione dell’ARMIR ebbe di fatto termine la partecipazione italiana alla campagna sul fronte orientale. A partire dal 6 marzo, i sopravvissuti delle divisioni italiane verranno progressivamente rimpatriati. Alcune unità italiane continuarono comunque ad operare sul fronte orientale: cinque battaglioni di truppe chimiche addette alla creazione di nebbia artificiale operarono nei porti del Baltico fino alla fine della guerra, come pure l’834º ospedale da campo, attivo in Russia. Singoli soldati o ufficiali italiani si offrirono volontari e combatterono all’interno di unità della Wehrmacht sul fronte orientale, anche se non ci sono dati precisi sul loro numero.
Comandanti
Generale di corpo d’armata Francesco Zingales (10 luglio 1941 – 14 luglio 1941)
Generale di corpo d’armata Giovanni Messe (14 luglio 1941 – 10 luglio 1942)
Generale d’armata Italo Gariboldi (10 luglio 1942 – aprile 1943)
Le perdite
Tra il 5 agosto 1941 e il 30 luglio 1942, il CSIR ebbe 1.792 morti e dispersi, e 7.858 feriti e congelati. Tra il 30 luglio 1942 e il 10 dicembre 1942, l’ARMIR ebbe 3.216 morti e dispersi, e 5.734 feriti e congelati. Per quanto riguarda le perdite durante la battaglia sul Don e la ritirata (11 dicembre 1942 – 20 marzo 1943), le cifre ufficiali parlano di 84.830 militari che non rientrarono nelle linee tedesche, e che furono indicati come dispersi, oltre a 29.690 feriti e congelati che riuscirono a rientrare. Le perdite ammontarono quindi a 114 520 militari su 230 000. Andarono inoltre perduti il 97% dei cannoni, il 76% di mortai e mitragliatrici, il 66% delle armi individuali, l’87% degli automezzi e l’80% dei quadrupedi.
Circa il destino dei dispersi, l’unico dato certo è che a partire dal 1946 vennero rimpatriati dalla Russia 10.030 prigionieri di guerra italiani (gli ultimi 28 prigionieri, tra cui il maggiore MOVM Alberto Massa Gallucci furono rilasciati nel 1954, a oltre undici anni dall’armistizio del 3 settembre 1943); è quindi possibile calcolare che 74.800 militari italiani morirono in Russia, in quattro distinte fasi: durante i combattimenti sul Don; di stenti durante la ritirata; durante le marce di trasferimento verso i campi di prigionia, le famigerate “marce del Davaj” (dalla parola usata come incitamento dai soldati russi di scorta) e i successivi trasferimenti in treno; e durante la prigionia stessa. Ripartire i caduti tra le diverse fasi è molto difficile: come dato orientativo e molto discusso, si parla di circa 50.000 italiani morti nei campi di prigionia, durante il viaggio per raggiungerli o, seppure in cifre inferiori rispetto ai soldati tedeschi, uccisi nei momenti immediatamente successivi la cattura, sorte che toccava in particolar modo a chi non era in grado di compiere la marcia verso i campi di prigionia (feriti, congelati gravi, ammalati).
L’alto numero di “dispersi” è dovuto all’impossibilità di accertarsi in quale delle precedenti fasi era caduto il soldato, infatti le registrazioni da parte delle autorità russe furono fatte solo per coloro che raggiunsero i campi di prigionia, e anche tra costoro ve ne furono molti deceduti prima di essere registrati. Con l’apertura degli Archivi Russi si è riuscito a dare una data e un luogo di morte certa a migliaia di “dispersi”. Per altri sono state utilizzate le testimonianze dei, pochi, superstiti dalla prigionia rese una volta tornati in Italia. L’UNIRR, citando fonti delle autorità russe, calcola in 95 000 il numero degli italiani dispersi. Di questi, circa 25 000 caddero nelle battaglie sul Don e durante la ritirata, mentre 70 000 furono presi prigionieri. Ne consegue che i morti in prigionia furono circa 60 000.
Circa il trattamento dei prigionieri italiani catturati dai sovietici, è stato oggetto di alcune polemiche politiche il ruolo avuto da Palmiro Togliatti, che non avrebbe fatto nulla per riportare a casa i prigionieri italiani. L’alto numero di decessi tra i prigionieri italiani è da imputarsi alla disorganizzazione del sistema di smistamento sovietico, sopraffatto dall’altissimo numero di prigionieri dell’Asse catturati nel corso delle offensive invernali (quasi mezzo milione tra tedeschi, romeni, italiani e ungheresi); impreparati a gestire una simile massa di prigionieri, i sovietici non furono in grado di garantire le condizioni minime di sopravvivenza ai militari catturati, sia durante i viaggi di trasferimento, che videro i soldati di scorta eliminare coloro che non erano più in grado di proseguire la marcia, sia durante i primi mesi nei campi di prigionia, dove le condizioni dei prigionieri favorirono lo scatenarsi di epidemie. Il numero dei decessi fu infatti molto elevato nei primi mesi di prigionia, per poi attestarsi su livelli più fisiologici a partire dall’estate del 1943.
Sette prigionieri italiani furono processati e condannati ai lavori forzati dai tribunali sovietici per crimini di guerra; graziati nel 1954, vennero liberati assieme agli altri prigionieri. I sovietici chiesero inoltre l’estradizione di altri 12 militari italiani, richiesta che non venne accolta dal Governo italiano. A seguito di una lunga campagna promossa dai reduci per la restituzione delle salme dei caduti, solo nel 1989 fu possibile la restituzione dei primi resti. In seguito fu consentito dalle autorità russe l’accesso a 72 dei molti cimiteri di guerra italiani in quel territorio e sono state iniziate le operazioni di rimpatrio di circa 4 000 salme. Ai caduti della guerra di Russia è dedicato un tempio a Cargnacco, presso Udine, ove sono raccolti anche gli ignoti.
In Italia, il riconoscimento giuridico della qualità di ente morale dell’Associazione dei Reduci è stato numerose volte chiesto ed altrettante rifiutato, sino al 1996, quando il Ministero della Difesa con Decreto Ministeriale del 20 novembre 2006, concesse all’UNIRR – Unione Nazionale Italiana dei Reduci di Russia l’agognato riconoscimento. Meritoria è l’azione dei componenti dell’UNIRR che attraverso memoriali, difficili ricerche negli archivi ex-sovietici e visite dirette sui luoghi ricercano, e spesso trovano ancora oggi, le fosse comuni dei gulag e dei campi di transito dove furono frettolosamente inumati i caduti italiani prigionieri dei sovietici.
I crimini di guerra
La leggenda del bollettino n. 630
È un falso storico che il bollettino n. 630 del Comando supremo russo, emesso da Radio Mosca l’8 febbraio 1943 abbia recitato:

« … soltanto il Corpo d’armata alpino deve ritenersi imbattuto sul suolo di Russia…[44] »

Per amore della verità storica, non esistono prove che tale citazione sia vera e pare essere stata inventata in Italia durante la guerra fredda
La componente navale
Tra i reparti italiani inviati sul fronte orientale vi era anche una piccola unità della Regia Marina, distaccata dalla Xª Flottiglia MAS su esplicita richiesta tedesca per operare nel Mar Nero. L’unità, designata come 101ª Flottiglia MAS e posta al comando del capitano di fregata Francesco Mimbelli, era inizialmente composta da quattro MAS (aumentati poi a sette), sei sommergibili tascabili classe CB, cinque motoscafi siluranti e cinque barchini esplosivi.

L’unità venne trasferita via terra fino alle coste del Mar Nero (ove giunse nel maggio del 1942), con il nominativo di “Autocolonna M.O. Moccagatta” facendo base nei porti di Jalta e Feodosija, sulla penisola di Crimea. I MAS e i sommergibili italiani vennero subito coinvolti nelle operazioni contro la fortezza sovietica di Sebastopoli, attaccando il traffico da e verso la piazzaforte. Caduta la città (4 luglio 1942), l’unità venne spostata nel Mar d’Azov per fornire protezione al traffico navale tedesco, per poi continuare con le missioni di pattugliamento lungo le coste controllate dai sovietici.

La mancanza di combustibile e il cattivo andamento del conflitto influirono pesantemente sulle attività dei mezzi italiani. Il 20 maggio 1943 i MAS superstiti vennero ceduti alla Kriegsmarine, e gli equipaggi rimpatriati. I sommergibili continuarono ad operare con equipaggi italiani fino all’agosto del 1943 dalla base di Sebastopoli. A seguito dell’armistizio italiano reso noto col proclama Badoglio dell’8 settembre 1943, gli equipaggi vennero internati dai tedeschi, mentre i mezzi (ormai in pessimo stato di manutenzione) vennero acquisiti dai romeni, per finire poi nelle mani dei sovietici a Costanza nel 1944.
Durante la sua attività, l’unità riuscì ad affondare 3 navi da trasporto e 3 sommergibili sovietici, oltre a danneggiare l’incrociatore Molotov e il cacciatorpediniere Kharkov. Le perdite ammontarono ad un CB e a due MAS.
Un’altra piccola unità navale italiana operò tra il 15 agosto e il 22 ottobre 1942 sulle sponde del lago Ladoga, in appoggio alle truppe tedesche e finlandesi impegnate nell’assedio di Leningrado. L’unità, denominata 12ª Flottiglia MAS, era comandata dal capitano di corvetta Bianchini, e disponeva di soli due MAS. Impegnata nella caccia al traffico navale sovietico (che costituiva l’unica via di rifornimento verso la città assediata), l’unità affondò una cannoniera e un trasporto. Con il sopraggiungere dell’inverno, i MAS vennero ceduti ai finlandesi, e gli equipaggi italiani rimpatriati.

LA STORIA DEL 120° REGGIMENTO ARTIGLIERIA

Il 120° reggimento artiglieria motorizzato si costituì presso il deposito del 20° reggimento artiglieria “Piave” a Padova il 15 agosto 1941. (1)
Il suo primo comandante fu il colonnello Dino Di Janni .
Il 25 ottobre 1941 il reggimento venne mobilitato ed il 4 dicembre successivo il 20° reggimento fece dono al 120° dello Stendardo, che venne benedetto alla presenza del comandante la divisione “Piave” generale Roncaglia . Tra il 5 ed il 26 gennaio si svolse la prima scuola tiro del reggimento in provincia di Vicenza. Intanto lo Stato Maggiore del Regio Esercito dispose di assegnare il reggimento alle dipendenze della divisione celere “Principe Amedeo Duca D’Aosta”, in corso di trasformazione in grande unità motorizzata. Il reggimento era costituito da:

• Comando;
• Reparto comando;
• Reparto munizioni e viveri
• I gruppo di obici da 100/17 mod.14
• II e III gruppo cannoni da 75/27 mod. 11
• 93° batteria contraerei da 20/65(mod. 35 ndr)
• 101° batteria contraerei da 20/65(mod. 35 ndr)

L’8 febbraio iniziò il trasferimento sul fronte russo (in verità partirono alle 0,25 del 9 febbraio 1942 ndr), prima per ferrovia, poi su via ordinaria con una marcia di oltre 1000 km lungo le strade, alcune volte neppure tracciate, sotto continue tormente di neve. Il 28 febbraio 1942 entrò a far parte del raggruppamento tattico “Lombardi”, alle dipendenze della 1° armata corazzata tedesca, mettendosi in luce, unitamente al 6° reggimento bersaglieri, in una brillante azione che respinse con successo una puntata offensive russa fra Parvlograd e Slarviranca. Assegnato infine al Corpo Di Spedizione Italiano in Russia, dal 15 marzo 1942 il 120° reggimento entrò a far parte della 3a divisione celere “P.A.D.A.” in sostituzione del reggimento artiglieria a cavallo e il 30 maggio il Ministero della Guerra concesse al 120° il motto araldico: “Nuove vampe ne la grande fiamma”. Il 1° giugno avvenne il passaggio delle consegne tra il colonnello Di Janni ed il tenente colonnello De Simone al comando del reparto. Il 6 giugno si costituì presso il reggimento la 10° batteria controcarro armata di cannoni da 75/34 mod. 97/38 di provenienza tedesca (2)
Il generale Messe (secondo da destra) osserva un cannone controcarri Pak-38 da 5 cm sul fronte russo. Alcuni pezzi di questo tipo furono ceduti dai tedeschi al corpo d’armata alpino nel 1942 (ASSME)
Il 27 giugno 1942, presso Nowo Jwanowka, si sferrò, contro le linee tenute dalla 3a celere, un attacco in forze russo che venne nettamente respinto grazie anche agli interventi di fuoco del I e del III gruppo del 120° reggimento. Nel Luglio il XXXV corpo d’armata – C.S.I.R., (3) distaccato presso la 17° armata tedesca, riprese le operazioni offensive avendo ricevuto in rinforzo la divisione di fanteria “Sforzesca” e numerose unità di artiglieria appena giunte dall’Italia. La 3a celere, in particolare, poteva contare sul 120° reggimento al completo, su un gruppo da 105/32 del 30° raggruppamento di artiglieri di corpo d’armata e su un gruppo cannoni da 75/27 mod. 12 del reggimento artiglieria a cavallo. A partire dal 12 luglio 1942 il 120° partecipò alle operazioni per la conquista del munito caposaldo di Javanovka e dell’importante bacino carbonifero di Krasnij Lutsch. Il 24 luglio la divisione celere riceveva l’ordine di passare a disposizione della 6° armata tedesca con il compito di eliminare la testa di ponte stabilita dal nemico sulla sponda destra del Don presso Serafimovich, che costituiva minaccia al fianco sud dell’armata. Dopo 4 giorni di marcia e 440 km percorsi, che intendevano concentrare sulla testa di ponte due o tre divisioni col proposito di puntare verso sud ed alleggerire la pressione su Stalingrado. I sovietici lanciarono contro le truppe italiane più ondate di carri armati T.34 da 26 tonnellate e Bt da 14, appoggiate da truppe di fanteria. Dall’interrogatorio di prigionieri si seppe che alcuni dei carri, appartenente ad una brigata corazzata, erano appena usciti dalla fabbrica di Stalingrado. Nel combattimento vennero coinvolti anche i bersaglieri del XV e XIX battaglio, che, non avendo armi adatte per lottare contro i grossi potenti T.34, si sparpagliarono nella steppa sparando contro i fanti russi appollaiati sui carri. Questa azione consentì di dissociare i carri dalla fanteria, facilitando l’azione delle artiglierie italiane retrostanti. Passato l’assalto carrista, i bersaglieri si riordinarono rapidamente, rastrellando il luogo dello scontro ed eliminando le ultime resistenze. Alla fine dell’azione almeno 14 carri russi su 39 erano rimasti su terreno. La divisione non aveva avuto perdite molto forti:
 13 caduti, tra cui un ufficiale,
 54 feriti, di cui 11 ufficiali,
 un disperso.
Il danno più grave era stata la distruzione di preziosi materiali: soltanto il II gruppo del 120° reggimento ebbe a lamentare la perdita di 10 cannoni da 75/27, 2 mitragliere da 20 mm, 7 trattori TL 37 e 13 autocarri
Il giorno seguente le truppe italo-tedesche proseguirono la manovra offensiva, tenacemente contrastata dai russi, che lanciarono rabbiosi contrattacchi sempre appoggiati da forze corazzate. Alcuni carri sovietici insinuatisi attraverso le maglie degli attaccanti, mentre compivano una scorreria nelle retrovie italiane, si portarono a breve distanza dal 578° reggimento comando della divisione celere, venendo distrutti dal pronto intervento di una sezione cannoni controcarri da 75/34. Alla sera del 31 tutti i contrattacchi che erano stati respinti. L’attacco del terzo e sesto bersaglieri del 578° reggimento tedesco venne ripreso a mezzanotte, portando alla conquista degli abitanti di Serafimovich e Bjelajevski.
Le operazioni dell’ansa del Don continuarono fino al 14 agosto con cruenti combattimenti per il possesso del grande bosco tra Bobrowski e Baskovski. Al termine della battaglia di Serafimovich il nemico aveva subito forti perdite in uomini e mezzi; 47 carriarmati due autoblindo della brigata corazzata erano stati eliminati: 35 distrutti, per la maggior parte dall’artiglieria ed alcuni dai bersaglieri con bottiglie di benzina, mentre 12 erano stati gettai nel Don per evitare la cattura (31 carri e 2 autoblindo furono messi fuori combattimento, gli altri 16 dai tedeschi).
La prima battaglia vittoriosa contro i carri russi ebbe vasta eco nell’ARM.I.R. e il comando artiglieria dell’8° armata richiese alla 3a divisione celere una relazione dettagliata sulla battaglia, e in particolare sul comportamento del munizionamento impiegato, oltre ad esprimere vivissima ammirazione per il mirabile contegno in combattimento ottenuto dagli artiglieri. (4)
Il 15 agosto la divisione celere venne ritirata dalla linee del fuoco per riordinarsi e ripianare le perdite ma il 22 successivo il reggimento fu chiamato urgentemente in prima linea per andare a sostenere il settore delle divisione “Sforzesca” sottoposto ad un veemente attacco russo. Il 120° si schierò nella zona di Jagodnij, inserito in un caposaldo, dove fu costretto a sparare ad alzo zero alle minime distanze.
Dal 15 marzo al 20 settembre 1942 il reggimento sparò complessivamente 35.500 colpi, oltre a quelli delle mitragliere da 20/65. Dal 10 luglio al 20 settembre ebbe distrutto il seguente materiale: 12 cannoni da 75/27 mod. 11, 2 obici da 100/17, 2 canoni da 75/34 mod. 97/38, 3 mitragliere da 20/65, 7 cannoni da 75/27, 16 autocarri di vario tipo, 7 trattori TL 37, 2 motocicli. Le perdite in vite umane furono di 3 ufficiali morti e 10 feriti, 26 soldati di truppa morti ed 88 feriti, un disperso. Per atti di valore individuali fino al 30 settembre 1942 furono assegnate 5 medaglie d’Argento al Valor Militare, 13 di Bronzo e 7 Croci di Guerra sul campo e per il ciclo operativo del marzo-ottobre 1942 lo Stendardo di Guerra del reggimento venne decorato di medaglia d’Argento al Valor Militare.

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Commenti dell’autore, Filippo Cappellano

Dallo svolgimento dell’azione di Serafimovich risalta lo scarso addestramento dei carristi russi, supplito però da una notevole aggressività e sprezzo del pericolo. Ogni singolo plotone carri operò a livello autonomo, senza un coordinamento a livello compagnia. L’azione slegata della formazione corazzata e la mancata alternanza di fuoco e di movimento tra le singole pedine del plotone fu determinata forse anche dall’assenza di apparati radio a bordo, almeno sui carri gregari. L’istruzione degli artiglieri italiani si rivelò invece adeguata: la batteria da 75/34 seppe riconoscere a distanza la sagoma dei carri T34, rispetto a quella dei carri leggeri, concentrando su di essi il tiro con granate a carica cava, riservando ai BT il munizionamento ordinario. Durante l’azione i pezzi vennero spostati a mano per prendere di fianco i carri nemici. Gli artiglieri del gruppo da 75/27 utilizzarono subito granate senza spoletta dal miglior effetto controcarri, come prescritto dalle norme. Nella mischia accesasi presso q. 210,1 gli artiglieri rimasero ai pezzi, sparando a bruciapelo sui carri. In questa occasione risultò, però, carente il servizio di vigilanza e di sicurezza, che favorì l’irruzione di sorpresa dei carri russi.

L’ottimo rendimento in funzione controcarri delle artiglierie della 3a divisione celere non fu dovuto certo al caso, ma il frutto di un intenso addestramento volto alla tecnica di puntamento e tiro diretto contro bersagli mobili ed a vaste esperienze a fuoco contro sagome reali di carri russi catturati. Fin dal maggio 1942 la 3a divisione celere aveva fatto eseguire tiri sperimentali con armi della fanteria e artiglierie contro carri sovietici di preda bellica; l’esercitazione a fuoco, condotta insieme a reparti tedeschi, mirava soprattutto a verificare l’efficacia del munizionamento perforante ed ordinario contro le corazze laterali dello spessore di 15 mm di un carro BT da 14 tonnellate rimasto impantanato nelle linee italiane durante la battaglia di Natale. Furono utilizzati: proiettili calibro 8 mm sparati da una mitragliatrice Fiat mod. 14-35, senza apprezzabili risultati; proietti perforanti – esplodenti da 20 mm della mitragliera contraerei Breda mod. 35, con perforazione netta della torretta e dello scafo a 150 m di distanza; proietti perforante da 47/32 a 150 m, con perforazione netta dello scafo e lesioni alla parete opposta; granate da 75/27 ordinarie e mod. 32 spolettate a 150 metri, con nessun effetto e senza spoletta, con effetto di sfondamento della corazza dello scafo; granate ordinarie da 100/17 spolettate a una distanza di 450 metri, con perforazione della torretta e dello scafo. Furono effettuati, inoltre, esperimenti con ordigni esplosivi da parte di una squadra di distruttori di carri ricorrendo a: 6 bombe a mano legate insieme e munite di impugnatura, con l’effetto di spezzare la cingolatura e sfondare la parte superiore della corazza di scafo all’altezza del vano motore; 2 bombe a mano legate insieme e collocate intorno alla bocca da fuoco del cannone, con il risultato di ovalizzare leggermente la canna; una bottiglia Molotov senza provocare incendi.

Sulla base dei risultati ottenuti, il Comando Artiglieria della divisione Principe Amedeo Duca d’Aosta trasse degli ammaestramenti riassunti in una breve memoria sull’impiego delle artiglierie nel tiro controcarri. Vi si raccomandava di aprire il fuoco solo alle minori distanze a motivo della facilità di puntamento, dell’elevato valore della velocità residua del proietto sparato con la carica massima, della traiettoria tesa e dei minimi tempi di volo della granata In relazione alla velocità di traslazione del carro. Con i pezzi da 75 e 100 mm in dotazione la distanza massima di intervento non doveva essere superare i 500- 600 m . Oltre tali valori le possibilità di colpire diminuivano sensibilmente e l’azione controcarri perdeva il fondamentale vantaggio della sorpresa. Il cannone doveva sparare alla celerità massima di tiro e molto importante era la ripartizione degli obiettivi tra i pezzi, affinché ogni cannone della batteria sapesse contro quale carro della formazione nemica dovesse rivolgere il tiro. Nella esecuzione del Fuoco controcarri, tra un carro in movimento in direzione frontale ed un altro in direzione obliqua, era preferibile sparare contro quest’ultimo, anche se non minacciava direttamente lo schieramento d’artiglieria, in considerazione della maggiore vulnerabilità della corazzatura laterale del carro. Da ciò la convenienza di predisporre l’incrocio dei fuochi fra i pezzi della batteria.
Per ordine del Comando Artiglieria del XXXVº corpo d’armata (C.S.I.R.) i tiri di addestramento vennero ripetuti in data 3 giugno 1942 alla presenza del generale Marazzani, comandante della 3a celere e del generale Dupont, comandante dell’artiglieria dello C.S.I.R. Le esercitazioni si svolsero sempre contro un carro BT fermo con corazzatura intatta, utilizzando un cannone da 75/27 mod.12 del reggimento artiglieria a cavallo, un pezzo controcarro di preda bellica russa da 45mm ed un fucilone sovietico da 14,5mm. A distanza di 300m sparando granate mod. 32 da 75/27 con spoletta mod. 10/40, con spoletta mod. 10 senza innesco e senza spoletta si ottennero sempre gravi danneggiamenti contro la corazza laterale del carro. A completamento di tali esperienze il comando del Corpo di Spedizione Italiano in Russia diramò a tutte le unità dipendenti delle norme circa i tiri controcarri. In attesa della distribuzione dei proietti perforanti da 75/27 si ordinava di impiegare contro i carri armati le granate mod.32 munite di spoletta ed innesco. Quantunque il proietto senza spoletta o senza innesco garantisse maggiori capacità di perforazione, era da ritenersi preferibile l’uso della granata spolettata ed innescata, dato che nel primo caso non si realizzava alcun effetto se non si colpiva in pieno il carro e si ottenevano scarsi effetti locali se non si colpivano parti vitali del mezzo.” “Molto si è discusso sull’impreparazione tecnica evidenziata dal Regio Esercito nell’affrontare l’Armata Rossa e le condizioni ambientali in terra di Russia. Un’analisi serena ed obiettiva, ricavata comparando le prestazioni di armamenti ed equipaggiamenti in dotazione agli eserciti italiano, russo e tedesco nel 1941 riesce a far giustizia di molti luoghi comuni e stempera giudizi quantomeno ingenerosi sul grado di operatività del C.S.I.R. Al momento dell’invasione tedesca, la massa dei carri armati russi era costituita da carri leggeri T26, carri veloci BT-5/7 e tankette T37 e T38. (5)
I T34 in servizio erano meno di 1.000, mentre i carri pesanti KV 1/2 non superavano le 500 unità. I T26 ed i BT erano già stati affrontati e battuti in Spagna dal Corpo Truppe Volontarie; la loro protezione massima non superava i 25 mm, che li metteva alla mercé dei cannoni italiani da accompagnamento e controcarri da 47/32 e 65/17. Anche le mitragliere Breda da 20/65, alle brevi distanze e sulle pareti laterali della corazza, potevano risultare letali ai carri russi.

Il C.S.I.R. non subì attacchi di consistenti formazioni corazzate sovietiche fino all’estate del 1942. Le divisioni Principe Amedeo Duca d’Aosta (P.A.D.A.), Torino e Pasubio, in previsione del loro invio in Russia, vennero rinforzate con numerosi cannoni da 47/32. Considerando anche il battaglione controcarri di corpo d’armata, ogni reggimento di fanteria italiano poteva disporre di una compagnia rinforzata di cannoni da 47/32, eguagliando la dotazione di armi controcarri di un reggimento di fanteria tedesco dell’epoca. (6)
Le informative sull’esistenza dei carri T34 e KV1 giunsero in Italia agli organi competenti solo verso la fine del ’41. Così scrive il Capo di Stato Maggiore Generale Cavallero in data 27 dicembre 1941 allo Stato Maggiore del Regio Esercito:

Da recenti notizie risulta che il solo materiale di almeno 88 mm di calibro può avere ragione sui moderni carri pesanti russi. È evidente che per il futuro dovremo orientarci, per l’azione contro i carri medi e pesanti, all’impiego del pezzo da 90/53. (7)

Le tanto vituperate divisioni autotrasportabili italiane godevano di un livello di motorizzazione superiore alla massa delle grandi unità tedesche che partecipavano all’operazione “Barbarossa”, costituite da divisioni di fanteria appiedata con artiglierie e servizi a traino animale. L’esercito tedesco impiegò in Russia con buoni risultati l’unica divisione di cavalleria disponibile, mentre da parte russa si ricorse largamente dal 1941 al 1943 a corpi di cavalleria. Nessuna particolare impressione doveva quindi suscitare l’invio sul fronte orientale della 3a divisione celere con due reggimenti di cavalleria ed uno di artiglieria a cavallo. Nel 1941 la produzione di carri medi M 14/41 era appena sufficiente a ripianare le perdite delle divisioni corazzate e motorizzate impiegate in Libia. Nel corso della prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale dall’aprile 1941, l ‘”Ariete” disponeva ancora di battaglioni carri montati su L 3. Nella considerazione che i pezzi di artiglieria italiani a traino meccanico da 75/27 e 100/17 fossero materiali antiquati e di scarse prestazioni, ogni divisione di fanteria ricevette un battaglione mortai da 81 in rinforzo, portando la dotazione divisionale di tali armi a ben 72 pezzi. I due gruppi di cannoni da 75/46 mod. 34 erano quanto meglio si possedesse il Regio Esercito in fatto di artiglierie contraerei mobili di produzione nazionale. (8)
Per garantire la mobilità nel territorio russo caratterizzato da scarsa viabilità e numerosi corsi d’acqua, la componente del genio era rappresentata da 4 battaglioni tra artieri, pontieri e trasmissioni. Il C.S.I..R. ebbe, poi, un proprio corpo aereo della Regia Aeronautica composto da 83 velivoli da caccia e da ricognizione. Nel dicembre 1941, Messe, ritenuto il miglior generale italiano della seconda guerra mondiale, dopo l’esperienza di 5 mesi di guerra in Russia, chiese a Roma l’assegnazione di due ulteriori divisioni preferibilmente alpine, la trasformazione della divisione celere motorizzata ed il rimpiazzo dei quadrupedi andati perduti per la costruzione di un raggruppamento truppe a cavallo, che riteneva avrebbe potuto trovare proficuo impiego in quel particolare ambiente geografico. Anche senza considerare il progettato impiego delle divisioni alpine “Julia”, “Tridentina” e Cuneense” nelle montagne del Caucaso, nell’esercito fin dal 1941 avevano operato con successo nelle pianure russe interi corpi d’armata di truppe da montagna. Ciascuna divisione alpina ebbe in rinforzo 2 compagnie cannoni da 47/32 ed una compagnia armi d’accompagnamento di battaglione dotata di mortai da 81 e 6 pezzi da 47/32. L’A.R.M.I.R. ricevette le migliori artiglierie d’armata, da campagna, e controcarri presenti in Italia. I 90 pezzi da 75/34 mod. 97/38 e da 75/32 mod.37, gli unici disponibili del regio esercito, erano in grado di avere ragione anche dei carri T34 come dimostrato a Serafimovich. (9)
I cannoni e gli obici pesanti da 149/28 di origine tedesca, da 149/40 e da 210/22 erano tra le migliori realizzazioni dell”epoca. Pur senza ricorrere agli ottimi cannoni da 88/55 e da 75/50 ceduti dai tedeschi ed impiegati in Africa settentrionale, i reparti contraerei furono rinforzati da altri 3 gruppi da 75 /46 muniti di centrali di tiro Gamma e Gala. Anche per le artiglierie divisionali fu fatto quanto era nelle possibilità, assegnando al 2º corpo d’armata 72 obici da 75/18 mod.35 e sostituendo i pezzi da 100/17 con i cannoni da 105/28 con maggior gittata e migliore potere d’arresto controcarri. Prima della seconda battaglia del Don giunsero in Russia granate controcarri E.P. per i calibri d’artiglieria divisionale da 75 e 100 mm . (10)
Il precipitare degli eventi nell’inverno 1942-43 impedì il prospettato invio all’8a armata del 10º raggruppamento semoventi cingolati da 90/53, del 557º gruppo semoventi da 75/18 e di 3 gruppi di obici campali da 149/19.”

FONTE: www.centoventesimo.com